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FIDEIUSSIONE

LA FIDEIUSSIONE

Le sorti del contratto di fideiussione alla luce delle norme sulla concorrenza

Negli ultimi anni si è registrato un incremento del contenzioso giudiziario relativo alle fideiussioni bancarie.

In particolare, la Banca d’Italia – con il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 – ha disposto che:
“a) gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con la L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a);

Va premesso che nell’ottobre del 2002, l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha predisposto uno “schema negoziale” tipo per la fideiussione a garanzia di operazioni bancarie, poi diffuso ed utilizzato pressoché uniformemente da tutti gli Istituti di credito. La Banca d’Italia, nel 2005, ebbe ad evidenziare come la disciplina della “fideiussione omnibus”, di cui allo schema ABI 2002, presentava clausole idonee a restringere la concorrenza, poiché suscettibili – in linea generale – “di determinare un aggravio economico indiretto, in termini di minore facilità di accesso al credito”, nonché “di accrescere il costo complessivo del finanziamento per il debitore, che dovrebbe anche remunerare il maggior rischio assunto dal fideiussore”.

Risultando le intese lesive della concorrenza illecite in forza della L. n. 287 del 1990, si è affermata a più riprese in giurisprudenza la nullità del contratto di fideiussione, in quanto contratto costituente lo sbocco dell’intesa vietata.

I rilievi critici dell’Autorità Garante riguardarono, in particolare, le clausole nn. 2, 6 e 8 del citato schema contrattuale, e precisamente:
a) la cd. “clausola di reviviscenza”, secondo la quale il fideiussore è tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo” (art. 2);
b) la cd. “clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.”, in forza della quale “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato” (art. 6);
c) la cd. “clausola di sopravvivenza”, a termini della quale “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.

Quanto sopra ha determinato, nei casi di fideiussione conforme al predetto schema ABI 2002, la crescente iniziativa dei fideiussori tesa all’accertamento, in via di domanda o di eccezione, della nullità della fideiussione da essi sottoscritta, al fine di ottenere la propria liberazione dal debito nei confronti della Banca.

In numerose pronunce giurisprudenziali è stata affermata la nullità della fideiussione, in quanto contratto a valle dell’intesa vietata. Nullità parziale, per effetto della precisazione formulata in seconda battuta dalla Corte di Cassazione.

In caso di sottoscrizione di una fideiussione bancaria, al fine di conoscere la validità dell’obbligazione fideiussoria, si rende opportuna l’analisi del contratto di fideiussione che, qualora conforme allo schema ABI 2002 in uso presso la totalità degli Istituti bancari, in base al nuovo indirizzo giurisprudenziale potrebbe essere ritenuto parzialmente nullo, con possibile eventuale liberazione del fideiussore dal vincolo fideiussorio.

In ordine all’impatto delle norme che favoriscono lo sviluppo della concorrenza sul contratto di fideiussione sussistono tre aspetti di particolare interesse:

1) l’applicazione della legge 10 ottobre 1990 sulla concorrenza e, in particolare dell’art. 2 comma 2 in ordine alle intese vietate e le conseguenze sul contratto stipulato a valle dell’intesa vietata;
2) la rilevanza del provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia;
3) l’onere della prova gravante sull’attore;

1) L’applicazione della legge 10 ottobre 1990 sulla concorrenza

In particolare, circa l’applicazione della legge 10 ottobre 1990 sulla concorrenza, nel furente dibattito giurisprudenziale meritano di essere segnalate, tra le numerosissime, due pronunce con cui la Cassazione ha chiarito importanti aspetti e fornito importanti spunti.
Ci si riferisce a Cass. civ. – SS.UU., sentenza 30/12/2021, n. 41994, a fronte della cui lettura possono desumersi i seguenti principi:

  • Nei casi in cui dello schema dichiarato nullo dalla Banca d’Italia vengano riprodotte le tre clausole di cui agli artt. 2-6-8, devono essere considerate nulle solo dette clausole, dovendosi escludere la nullità totale del contratto.

A quest’ultimo proposito, va rammentato che i contratti di fideiussione “a valle” dell’intesa sanzionata dall’allora Autorità Garante, con il menzionato provvedimento n. 55 del 2005, sono stati ritenuti parzialmente nulli, nel quadro di applicazione dell’articolo 1419 c.c., dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti: salvo che, in altri termini, non risulti che senza le tre clausole i contraenti non avrebbero concluso il contratto di fideiussione.

A tal riguardo, è sufficiente evidenziare che spetta “a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto” (Cass. n. 18794 del 2023).

  • Occorrerà, caso per caso, indagare se il rilascio della garanzia sia avvenuto a seguito di una “trattativa individuale”; se le fideiussioni/garanzie in contestazione siano una “deroga isolata”, richiamando proprio il suddetto capo 2.16.2 della sentenza; la fondatezza/infondatezza di un’istanza o eccezione di nullità totale della fideiussione/garanzia per mancanza di prova sulla volontà (art. 1419, comma 1, 2° periodo, c.c.); operare una verifica circa la formulazione, quantomeno in sede di precisazione delle conclusioni, della domanda di nullità parziale, e circa la circostanza che l’istanza/eccezione di nullità (totale o parziale) comunque presentata, sia sempre accompagnata anche dall’eccezione di intervenuta decadenza dall’azione, come visto non rilevabile d’ufficio in ambito di diritti disponibili (art. 2969 c.c.), quindi da proporsi da controparte tempestivamente.
  • Occorrerà, inoltre, stabilire se si sia in presenza di fideiussione/garanzia con clausola “a prima richiesta”, e sull’inidoneità a fini interruttivi di atti stragiudiziali (lettere, diffide, etc.), richiamando specificamente i principi di cui al punto 3.3 della sentenza.

Ulteriori rilievi significativi sono stati espressi nella pronuncia della Suprema Corte intervenuta in materia (cfr. Cassazione civile sez. I – 25/11/2024, n. 30383), a fronte della cui lettura possono desumersi i seguenti ulteriori principi:

  • Deve escludersi che la normativa antitrust sia applicabile alle fideiussioni specifiche, per tali dovendosi intendere quelle rilasciate per uno specifico affidamento.
    La fideiussione specifica è il contratto con cui un soggetto (fideiussore) garantisce, in via solidale con il debitore principale (cliente della banca), il pagamento di un debito di quest’ultimo derivante da una specifica operazione.
    La pronuncia in questione ha affermato che “[l]’eccezione di nullità va quindi rigettata, ritenendo di essere in presenza, nella sostanza, di una fideiussione specifica con la quale la garante si è impegnato in solido con la debitrice, per una obbligazione singolarmente determinata”, ma che trattandosi nel caso in esame di fideiussioni specifiche, i garanti avrebbero dovuto, in punto di allegazione fattuale e documentale, non affidarsi all’istruttoria della Banca d’Italia, per avvalersi della sua particolare funzione probatoria, ma avrebbero dovuto introdurre un’autonoma fattispecie di comportamento anticoncorrenziale, relativa all’applicazione uniforme, anche con riferimento alla stipulazione di fideiussioni ordinarie, sulla base di una intesa fra più istituti di credito e, dunque, in violazione delle regole del mercato e della concorrenza, del medesimo schema negoziale.

In buona sostanza, il principio sopra riportato può trovare eccezioni allorquando il fideiussore sostenga e provi che anche la fideiussione specifica rilasciata sia una conseguenza di una intesa o quanto meno da un coordinamento anche tacito tra gli istituti di credito.
La prova empirica dell’esistenza, quanto meno di comportamenti paralleli, emergerebbe dai testi uniformi delle garanzie specifiche.
Invero, tale accertamento sembra agevole perché spesso gli impegni assunti dal fideiussore con una garanzia specifica sono sempre, se non spesso, la riproduzione delle norme uniformi bancarie, ossia quelle esaminate dalla Banca d’Italia con il provvedimento del 2005.

Se il testo delle fideiussioni rilasciate per un determinato affare riporta le clausole ritenute illegittime, quelle censurate dalla Banca Centrale, non vi sarebbe motivo di proporre la differenziazione.
Sarà, in ogni caso, necessaria la prova della uniformità dei testi!

Anche la Cassazione ha assunto, con alcuni provvedimenti del 2024, posizioni contrastanti.
Difatti, ad alcune pronunce che hanno escluso la possibilità di estendere alle fideiussioni specifiche i principi di SS.UU. n. 41994/2021 (ordinanza ex art. 380-bis c.p.c. del 19.07.2024; ordinanza 19.01.2024; ordinanza 30383 del 25.11.2024), si è aggiunta l’ordinanza n. 27243 del 21.10.2024, mediante la quale la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha osservato:
“che – e questo è dirimente – S.U. 41994/2021 non richiede espressamente quest’ultima”, riferendosi alla natura omnibus della fideiussione.

La questione sembra però definitivamente chiarita mediante quattro provvedimenti emessi dalla Corte di legittimità a gennaio 2025

Con tre provvedimenti successivi – nn. 657, 660 e 675 – la stessa terza sezione civile ha escluso l’applicabilità alle fideiussioni specifiche della nullità parziale per conformità allo schema ABI.

Di pari tenore l’ordinanza della prima sezione civile Cass. Civ., Sez. I, 17 gennaio 2025, n. 1170.
Il provvedimento da ultimo richiamato va evidenziato anche per aver chiarito che:

  • Il provvedimento ABI va tempestivamente prodotto in quanto non soggiace al principio iura novit curia;
  • La fideiussione deve essere stata stipulata entro l’ambito temporale al quale può essere riferito l’accertamento della Banca d’Italia, evidente essendo che detto accertamento, operato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, di guisa che, in caso di compresenza delle tre clausole successivamente al 2005, l’interessato ben può dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale c’è, ma non certo in base al provvedimento precedente, bensì offrendone altra e specifica prova;
  • Il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità deve essere esattamente corrispondente a quello delle clausole oggetto di esame da parte della Banca d’Italia, “esatta corrispondenza da riguardare, beninteso, in termini di compresenza”, giacché, nella prospettiva seguita dal provvedimento n. 55, è la compresenza delle clausole ad essere lesiva della concorrenza.

Inoltre:

  • La rilevazione della nullità – sia pure d’ufficio – presuppone che la parte abbia tempestivamente allegato, nel corso del giudizio di merito, le circostanze fattuali tali da consentire la rilevazione medesima (v. da ultimo Cass. n. 16102/2024), poiché anche la rilevazione d’ufficio della nullità per violazione di norme imperative ha come condizione che i relativi presupposti di fatto, sebbene non dedotti sotto forma di eccezione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie (v. ex aliis Cass. n. 4867/2024, Cass. n. 34053/2023), dal momento che il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte a proposito della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 26242/2014) deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di aggirare i limiti processuali scanditi dal maturare delle preclusioni;
  • In breve, la rilevazione officiosa della nullità è circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati e provati (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713/2023 e Cass. nn. 2607, 5038, 5478, 10712 e 19401 del 2024).

In relazione alla contrarietà alla normativa antitrust di un contratto di fideiussione omnibus posto a valle di intese anticoncorrenziali:

  • È precluso il rilievo officioso della nullità in appello, se la parte interessata non ha prodotto il provvedimento della Banca d’Italia ed il modello ABI cui lo stesso fa riferimento, onde documentare la conformità a detto modello delle clausole contrattuali del contratto di fideiussione ritenuto nullo appunto in ragione di detta conformità (v. da ultimo Cass. 24380/2024 conforme a Cass. n. 20713/2023).

Passando alla questione della rilevazione officiosa della nullità parziale del contratto “a valle” dell’intesa anticoncorrenziale – nullità che, nell’ottica della pronuncia delle Sezioni Unite, si produce di default – è agevole osservare che tale rilevazione richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione, e cioè:

  1. L’esistenza del provvedimento della Banca d’Italia;
  2. La natura della fideiussione, giacché il provvedimento della Banca d’Italia è riferito solo ed esclusivamente alle fideiussioni omnibus, non a quelle prestate per un affare particolare, fideiussioni omnibus le quali vengono specificamente prese in considerazione per la loro attitudine – evidenziata dall’Associazione Bancaria Italiana – quale strumento di tutela macroprudenziale del sistema bancario, sicché l’accertamento effettuato dall’allora Autorità Garante è stato limitato a tale tipologia;
  3. L’epoca di stipulazione della fideiussione, che deve essere stata stipulata entro l’ambito temporale al quale può essere riferito l’accertamento della Banca d’Italia;
  4. Il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità e la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato;
  5. La concreta ricaduta della nullità delle clausole contrattuali sulla sussistenza, in tutto o in parte, del debito gravante sul fideiussore, sempre che tale ricaduta possa ancora essere invocata.

Ciò impone di rammentare, quanto alla rinuncia ai termini di cui all’articolo 1957 c.c., che, come la Suprema Corte ha ribadito numerosissime volte, l’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria ha natura di eccezione propria e non di mera difesa (a mero titolo di esempio Cass. n. 8023/2024), di guisa che il rilievo officioso della nullità della clausola non interferisce con la eventualmente ormai consumata preclusione dell’eccezione fondata sulla stessa.

2) La rilevanza del provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia

Circa la rilevanza del provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia, il principio generalmente accettato era che il provvedimento di Banca d’Italia sullo schema ABI era stato emesso a seguito di un’indagine svolta nel 2002 per cui aveva tenuto presente la fattispecie storica.
Ciò peraltro non esclude che si possa provare che le banche successivamente hanno continuato ad operare in violazione alle norme antitrust.

In ogni caso, la Cassazione ha ritenuto il provvedimento del 2005 costituire prova privilegiata relativamente alla rilevanza della violazione.

In questo contesto si sono avute varie pronunce, che sembrano tuttavia riportare considerazioni non univoche.

Si segnala un orientamento maggioritario (cfr. Tribunale Sez. spec. Impresa – Milano, 3.2.2023, n. 896), che in modo diretto afferma che:
“le fideiussioni stipulate in data 15.12.2015 non subiscono gli effetti del provvedimento della Banca d’Italia riguardante le clausole anticoncorrenziali dello schema ABI”.

Tanto viene affermato perché l’accertamento compiuto dalla Banca d’Italia riguarda il periodo ricompreso tra il 2002 e il maggio del 2005, in forza del quale è stato emanato il provvedimento n. 55 del 2005 relativo alla normativa antitrust.

Le argomentazioni svolte dal Tribunale e condivise dalla giurisprudenza maggioritaria sono varie e vanno evidenziate:

  1. La nullità delle clausole di reviviscenza o sopravvivenza della garanzia, predisposte unilateralmente e applicate in modo uniforme nei contratti bancari, anche se intesa quale nullità di protezione per il garante, è rilevabile d’ufficio;
  2. Il provvedimento amministrativo, con cui la Banca d’Italia ha dichiarato la nullità delle clausole di reviviscenza o sopravvivenza della garanzia predisposte unilateralmente e applicate in modo uniforme nei contratti bancari, può valere quale prova della nullità nel giudizio civile, anche se il contratto è stato stipulato anteriormente al provvedimento della Banca d’Italia (Cass. 29810/2017).

Si potrebbe ritenere che solo per le “vecchie” garanzie rilasciate prima del provvedimento, sarebbe possibile utilizzare i principi segnalati dalla Banca d’Italia e non per le fideiussioni di data successiva al 2005.

Va tenuta presente, però, la decisione del Tribunale di Milano del 21.2.2023, che non si discosta dai precedenti citati e che tiene conto delle richieste del garante, affermando:

“Nell’ambito dell’esercizio dei poteri officiosi in materia antitrust della sezione specializzata in materia di impresa, il tribunale, in relazione al tema della prova dell’esistenza di una intesa illecita nel periodo anteriore alla adozione del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005, può ordinare l’esibizione in giudizio dei modelli standard di fideiussione omnibus utilizzati da ciascun istituto di credito nel periodo in cui sono state rilasciate le fideiussioni oggetto di causa”.

Il Tribunale ha quindi accolto l’istanza dell’attore volta ad ottenere l’esibizione del modulo standard delle fideiussioni omnibus utilizzato dalle altre banche.

Va evidenziato che il Tribunale ha preso atto che la garanzia oggetto di giudizio era stata stipulata in un periodo antecedente a quello considerato nel provvedimento di Bankitalia, per cui l’attore doveva provare la esistenza già all’epoca della sottoscrizione dei contratti dell’intesa illecita.

La circostanza che la fideiussione fosse stata rilasciata nel 2001, infatti, implicava la necessità di determinare come si potesse giungere alla verifica dell’eventuale violazione delle norme antitrust.

Il Tribunale, su sollecitazione dell’attore in giudizio, ha accolto la richiesta istruttoria (ex art. 210 c.p.c.) sottolineando che:

“In relazione al tema di prova dell’esistenza dell’intesa illecita anteriormente al perimetro temporale dell’accertamento condotto dalla Banca d’Italia, conclusosi con il provvedimento n. 55/2005, deve ritenersi ammissibile e rilevante l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. formulata dalla parte attrice. A tal fine, infatti, è stato ordinato ad un novero di istituti bancari, di diverso dimensionamento, l’esibizione del modulo standard per le fideiussioni omnibus utilizzato in epoca coeva a quella della stipulazione delle garanzie oggetto di causa”.

Non è agevole ritenere che la pronunzia abbia valenza oltre la fattispecie che riguarda il rilascio della fideiussione avvenuto nel 2001, e ciò perché una diretta indagine sui modelli utilizzati di recente è possibile.

Invero, alcune banche hanno integrato i loro moduli con qualche differenziazione, specie sulla clausola relativa alla liberazione ex art. 1957 c.c., altre hanno lasciato il testo ABI precedente.

La Corte d’Appello di Milano, 24.2.2023, n. 641 ha ripreso quanto affermato dalla Cassazione:

“Il contrasto sussistente tra lo schema contrattuale standard di fideiussione predisposto dall’ABI e quello utilizzato può essere prova privilegiata per l’accertamento di intese restrittive della concorrenza”.

Dello stesso tenore il Tribunale Sez. spec. Impresa – Milano, 14.2.2023, n. 1171, che afferma che:

“Le cause c.d. ‘stand alone’ sono quelle relative a fideiussioni prestate in epoca successiva al provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia e che dunque, come tali, non possono giovarsi del provvedimento ai fini dell’accertamento dell’illecito antitrust. Per tale ragione in questa tipologia di controversie l’attore ha l’onere di dimostrare che all’epoca della stipula della fideiussione era già esistente un’intesa anticoncorrenziale fra banche per l’applicazione in modo uniforme delle tre clausole dello schema ABI oggetto delle censure della Banca d’Italia nel 2005 per violazione dell’art. 2 della l. n. 287 del 1990.”

3) L’onere della prova gravante sull’attore

Circa, infine, l’onere della prova gravante sull’attore, la sentenza pubblicata dal Tribunale di Napoli in data 17.10.2023 riprende un orientamento giurisprudenziale pressoché ormai maggioritario, secondo cui:

“Il fideiussore non può, inoltre, limitarsi ad affermare la pretesa nullità della fideiussione o di sue clausole per violazione dell’art. 2 L. n. 287/1990 facendo leva sul provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia, che si riferisce al periodo all’intesa accertata per il periodo 2002 e 2005, ma è gravato dell’onere della prova circa l’esistenza di una nuova intesa anticoncorrenziale, evocando una pronuncia di public enforcement, costituente indefettibile presupposto della richiesta di nullità di una fideiussione stipulata successivamente al 2005.”

Questo principio è già condiviso da vari Tribunali, che peraltro hanno tentato di trovare una più equa soluzione non esaminata dalla pronunzia sopra citata.

Il giudice ha affermato che le clausole indagate dall’attore esistono nel diritto bancario da tempi risalenti, e specialmente la deroga al funzionamento dell’art. 1957 c.c. è da sempre considerata un veicolo per il migliore funzionamento del credito, nell’interesse tanto del garantito quanto della banca, dal momento che:

“L’estensione temporale dell’efficacia della garanzia fideiussoria, in assenza di un termine a pena di decadenza per l’attivazione dalla scadenza del debito, consente una maggiore tolleranza verso gli inevitabili e fisiologici andamenti irregolari dell’esposizione debitoria di un’azienda, andamenti che sono connessi non solo alla capacità dell’imprenditore, ma anche alla solvibilità generale del mercato.”

Inoltre, il contratto era stato stipulato in un momento successivo rispetto a quello (ottobre 2002 – maggio 2005) oggetto dell’accertamento effettuato dalla Banca d’Italia col provvedimento amministrativo n. 55 del 2 maggio 2005.

La pronuncia osserva che l’attore avrebbe dovuto provare l’esistenza di una intesa anticoncorrenziale successiva al periodo 2002-2005, al quale si riferisce il provvedimento Banca d’Italia.

Il Tribunale riprende l’iter giurisprudenziale (da ultima la nota ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione del 30.12.2021 n. 41994) per evidenziare che la tesi della nullità totale va rigettata, mentre si deve ipotizzare una nullità parziale, limitata alle singole clausole che riproducono lo schema unilaterale.

Successivamente il Giudice conferma che il provvedimento “ha un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate”, e che il giudice del merito è tenuto:

  • Per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso;
  • Per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale.

Questa impostazione è condizionata dalla notazione sulla data del rilascio della garanzia.

Il Tribunale sottolinea che la fideiussione per cui è causa (stipulata nel 2009) si colloca in un periodo successivo rispetto a quello (ottobre 2002 – maggio 2005) oggetto dell’accertamento effettuato dalla Banca d’Italia col provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, di conseguenza gravava “interamente” sull’attore l’onere probatorio relativo all’esistenza di una intesa illecita all’epoca della stipula.

In tal senso, l’attore dovrebbe provare a monte l’esistenza di un’intesa, tra un numero adeguato di istituti di credito, idonea ad alterare la libera concorrenza del mercato, mediante la preclusione all’utente di beneficiare della competizione tra le banche per cogliere le migliori condizioni economiche del servizio richiesto.

In altri termini, l’intesa dovrebbe vedere gli istituti di credito concertare tra loro delle condizioni di accesso ai servizi bancari sfavorevoli all’utente, uguali tra loro, sì da impedire quell’effetto naturale della concorrenza che comporta la differenziazione delle offerte commerciali tra i diversi concorrenti per aumentare la propria fetta di mercato.

Di fatto, con le intese, i concorrenti in un determinato mercato, al fine di non incorrere nel naturale rischio di impresa connesso alla ricerca di nuovi clienti a danno dell’altro, si dividono il mercato creando artificiosamente e d’intesa identiche condizioni economiche per l’utenza.

Eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c., interesse ad agire e inammissibilità della domanda

In questo senso il danno prodotto da un’intesa all’utente finale del mercato può avere una duplice accezione:

  1. L’impossibilità di avvantaggiarsi di condizioni migliorative frutto delle dinamiche concorrenziali, in virtù di un appiattimento della curva del prezzo;
  2. L’aggravio di maggiori costi, là dove l’intesa si spinga ad introdurre condizioni più sfavorevoli per quel segmento di mercato, innalzando la curva del prezzo.

In sé, il mero ricorso a moduli e formulari per la stipulazione di contratti standardizzati costituisce un’attività assolutamente lecita e peraltro positivizzata nel codice civile vigente (artt. 1341 e 1342 c.c.), nonché disciplinata anche nel Codice del Consumo, per il caso in cui l’utente del mercato sia un consumatore e non un professionista.


Sull’eccezione di decadenza

Sempre circa l’onere della prova gravante sull’attore, oltre a quanto sopra evidenziato, merita di essere segnalata l’ulteriore circostanza inerente la tempestiva formulazione, in sede di contestazione del credito, dell’eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c., trattandosi, almeno per la giurisprudenza maggioritaria, di eccezione in senso stretto, rimessa alla disponibilità delle parti e non rilevabile d’ufficio (cfr. ex multis Corte di Appello di Firenze, sentenza n. 2783/2022 pubblicata il 14.12.2022; Trib. Venezia sent. pubblicata l’11.03.2022 nel giudizio n. R.G. 9238/2017), da proporsi entro e non oltre i termini di cui all’art. 167 c.p.c., cioè con l’atto introduttivo o in memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c..

Stabilisce infatti l’art. 2969 c.c. che la decadenza non può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Come affermato da certa giurisprudenza (Corte di Appello di Firenze, sentenza n. 2783/2022), la mancata tempestiva allegazione circa il mancato rispetto da parte del creditore del termine semestrale per agire giudizialmente contro l’obbligato principale, quindi la mancata proposizione di un’espressa eccezione in senso stretto, rimessa esclusivamente al potere di rilevazione della parte, da proporsi con l’opposizione a decreto ingiuntivo, assume il rango di aspetto decisivo, precludendo la proposizione dell’eccezione di decadenza.

Proprio in questi termini, d’altronde, in una fattispecie analoga, si è espressa la giurisprudenza di legittimità, che ha avuto modo di chiarire che la prima udienza di trattazione e le memorie di cui all’art. 183 c.p.c. possono essere utilizzate solo per precisare le domande e le eccezioni già formulate, e non per introdurre nel giudizio nuovi temi di indagine, che non siano conseguenza diretta delle difese avversarie.

Ne consegue che:

“Il fideiussore, nell’opporsi al decreto ingiuntivo contro di lui ottenuto dal creditore garantito, non può eccepire nel corso del giudizio la decadenza di questi per mancato esercizio del diritto contro il debitore principale, ai sensi dell’art. 1957 c.c., se nell’atto di citazione in opposizione si sia limitato ad invocare l’invalidità del contratto di fideiussione” (Cass. civ. n. 8989 del 5 giugno 2012).

L’eccezione di decadenza, ove non tempestivamente formulata, risulterebbe e risulta inammissibile, come affermato anche da Trib. Velletri, sentenza del 18 gennaio 2022, in materia di fideiussioni omnibus, secondo il quale l’ulteriore e logica conseguenza di ciò è la non ravvisabilità in capo al fideiussore opponente di un concreto e attuale interesse ad ottenere una pronuncia di nullità, parziale, della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. contenuta nella fideiussione da lui sottoscritta.

Invero, nella specie non si ravvisa alcuna utilità derivante dalla declaratoria di nullità delle singole clausole della fideiussione, posto che, non potendosi poi procedere alla verifica della decadenza o meno della Banca dall’azione nei suoi confronti, l’eventuale espunzione della clausola de qua non produrrebbe per l’ingiunto alcun risultato giuridicamente apprezzabile, dovendosi in ogni caso addivenire al rigetto dell’opposizione e alla conferma del decreto ingiuntivo emesso contro di lui.

Parimenti, alcuna utilità conseguirebbe l’opponente dalla declaratoria di nullità delle altre due clausole, di reviviscenza e di sopravvivenza, di cui le Sezioni Unite hanno da ultimo affermato la nullità quale speciale effetto, ex art. 2, comma 2, L. n. 287/1990, derivante dalla nullità parziale dell’intesa restrittiva a monte.

Infatti, siccome nella specie non è stata accertata né alcuna invalidità dell’obbligazione garantita, né alcun obbligo della Banca di restituzione di somme nei confronti della debitrice principale, è chiaro che le clausole in questione non assumono alcuna concreta o potenziale portata lesiva nei confronti del fideiussore, sicché anche la loro eventuale estromissione dal negozio fideiussorio non determinerebbe alcuna modifica della posizione del […], che resterebbe comunque obbligato, attese le peculiarità del caso concreto, al pagamento delle somme ingiunte.

A tal proposito, è opportuno precisare che, sebbene quella di nullità sia azione di mero accertamento (e, quindi, è sufficiente anche dedurre una potenziale lesività del negozio nullo, intesa quale situazione di obiettiva incertezza da esso derivante) rispetto alla quale la legittimazione è generale e spetta a chiunque vi abbia interesse, è principio altrettanto consolidato quello secondo cui ciò non esime affatto chi agisce dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire secondo le norme generali e con riferimento all’art. 100 c.p.c. (cfr. Cass. civ. n. 338/2001; Cass. civ. n. 13906/2002; Cass. civ. n. 7635/2006).

In particolare, l’interesse si identifica con l’utilità che la pronuncia di nullità può determinare nella sfera giuridica dell’istante (v. altresì, nella giurisprudenza di merito, Trib. Tivoli n. 735 del 19 maggio 2020 e Trib. Cosenza n. 381 del 21.02.2020).

Nel caso di specie, a detta del Tribunale, tenuto conto della mancata (rectius: tardiva) eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. e dell’accertata validità dei rapporti garantiti, il fideiussore deve dirsi sprovvisto di un apprezzabile e tuttora attuale interesse ad ottenere l’invocata declaratoria di nullità, in quanto la stessa, pur se accolta, non concretizzerebbe alcun reale beneficio nella sfera giuridica del garante.

Ne consegue che la domanda di nullità parziale (artt. 2, 6 e 8) della fideiussione sottoscritta da [—], per conformità del negozio allo schema ABI del 2003, va dichiarata inammissibile per difetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.

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